A tutto
Gaia …
Dopo le cipolle rosse e ramate in rete,
Nicola Barbato patron dell’azienda
Gaia in Borgo di Montoro Inferiore e uno dei produttori dell’O. P. Solco
Maggiore, con sede ad Eboli e diretta da Antonio Vocca, mi propone per il GAB
al costo di Euro 6:
1 kg di broccoli;
120 gr di rucola;
500 gr di spinacino;
120 gr di orientali;
500 gr di cipolle ramate;
150 gr di aglio dell’Ufita.
Rumino l’offerta e viene fuori un’idea da
trasformare in progetto.
… con le
autoctone e le orientali, la misticanza e il mallone del terzo millennio
Negli ultimi anni
l’areale di coltivazione degli ortaggi da foglia da taglio, cosiddetti “baby
leaf”, si sta estendendo, con sempre maggiore interesse, in diversi Paesi del Mediterraneo
a causa della crescente domanda di prodotti ad opera delle industrie di IV
gamma.
In Italia si
osservano due siti principali di produzione individuabili, il primo nel Nord (Piemonte,
Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia), dove si riscontrano anche le
maggiori concentrazioni di stabilimenti di lavorazione e il secondo nel Sud
(Campania - Piana del Sele, Puglia e Basilicata) nel quale si concentrano le produzioni
invernali che spesso consentono di avere continuità di fornitura per gli stabilimenti
del Nord.
In Campania la
maggiore concentrazione colturale è ubicata in larga parte nella Piana del
Sele, dove il settore interessa all’incirca 1.500 ha di serra. Questi sono occupati
principalmente da rucola selvatica (850 ha), seguita da lattughino (400 ha),
spinacio (150 ha), cicoria (75 ha), bietola (50 ha) e rucola coltivata (5 ha).
I “baby leaf”, dopo la raccolta, sono sottoposti a
processi tecnologici di minima entità atti a valorizzarli seguendo le buone
pratiche di lavorazione articolate nelle seguenti fasi: selezione, cernita, eventuale
monda e taglio, lavaggio, asciugatura e confezionamento in buste o in vaschette
sigillate, con eventuale utilizzo di atmosfera protettiva.
L’azienda Gaia, a carattere familiare, è una società semplice agricola, costituita nel 2008. Opera nella Piana di Montoro.
L’agricoltura
tradizionale dei nonni ha, col passare del tempo, lasciato spazio
all’evoluzione, alle innovazioni tecnologiche intervenute nel settore, non
perdendo mai di vista la genuinità e la qualità dei prodotti della terra.
Poco lontano dall’azienda c’è il centro
abitato di Borgo, ai piedi della collina con il castello longobardo ed il
santuario di san Pantaleone.
Cuore dell’antico abitato resta il
monastero dei padri virginiani. Una presenza che ci porta a pensare ad una
lunga continuità nell’uso edibile delle erbe. I padri virginiani -come i
contadini del posto- uscivano ad erborinare.
Nicola Barbato rinnova, dunque, una
tradizione che viene da lontano: con la sua offerta agli amici del GAB propone con
le autoctone e le orientali la misticanza ed il mallone del terzo millennio.
Il mallone
sciatizzo
Oggi
è forte l’impegno di conoscere e valorizzare il patrimonio etnobotanico: le
specie spontanee commestibili, coniugando conoscenza e utilizzo della flora
spontanea come cultura e salvaguardia della biodiversità.
La
riscoperta dell’uso delle specie spontanee commestibili fa parte di quei
circuiti che vedono già uno stretto collegamento tra agriturismi, prodotti
tipici e ruralità.
L’etnobotanica
è la scienza che documenta gli usi delle piante nell’ambito delle tradizioni
popolari delle diverse civiltà ed ha l’obiettivo di salvaguardare una
conoscenza primordiale del mondo vegetale che se non fosse studiata sarebbe
destinata a cadere nell’oblio. La valorizzazione e la divulgazione delle
conoscenze sulla flora spontanea e dei suoi usi nell’alimentazione rappresenta
anche un’azione di salvaguardia della biodiversità intesa nella sua accezione
più ampia; la biodiversità, infatti, non è data solo dal numero di specie
presenti in una zona, ma comprende anche i modi con cui le piante si coltivano
e si utilizzano in cucina.
Uno dei piatti delle Fare longobarde, a base di erbe
alimurgiche, era il mallone sciatizzo,
oggi tipico di un’area: l'entroterra campano tra le province di Salerno e di Avellino in parte ricadente nel Parco Regionale dei Monti
Picentini e un tempo rientrante nel Gastaldato di Rota, che ora vede
l’insediamento dell’Università degli Studi di Salerno. E’ un piatto, quindi,
che rimanda a significative connessioni tra cibo e territorio negli aspetti:
geografico, ambientale, economico-produttivo, storico e linguistico, così come
ricordato in una lettera di S. Paolino, citata dallo storico Pasquale
Natella.
Al vitto di ogni giorno si accompagnava l’holusculum, cioè un misto di erbe varie,
che costituivano il pascone, o mallone ovverosia minestre, composte da
foglie di rape, cardoni teneri, finocchio selvatico e cicoria, entro cui poteva
stemperarsi il pane siligineus, di
segala.
Le erbe citate da San Paolino per i vecchi contadini
sono le erbe necessarie per il
mallone ca ‘addora ‘e finucchie (con
il profumo di finocchio). A queste
erbe se ne possono aggiungere altre, disponibili al momento nella grande
dispensa di Madre Natura: come le rapeste, i cavulilli,
l’erba bianca, foglie di borragine.
Ancora oggi, Nicola e Concetta i farmacisti di Borgo,
usciti ad erbonirare, con le loro mani esperte e gli occhi attenti individuano,
tra l’erba alta, le piante giovani. Con
l'avanzare della maturità, infatti, la verdura diventa più fibrosa, perde
l'originario sapore gustoso e diviene poco gradevole; in altri termini, essa
non è più buona da mangiare.
Il sapore che si vuole dare al mallone sciatizzo
inizia, dunque, con la raccolta delle erbe. Alle erbe necessarie vanno aggiunte in modo commisurato le altre che è
possibile reperire sul territorio, a seconda della stagione. Tutte le verdure
vanno lavate e bollite. Tolte al dente e scolate bene, vanno poste a riposo in acqua fredda per un'ora
circa in modo che perdano il loro sapore amarognolo. Intanto in una casseruola va fatta soffriggere la
cipolla o l’aglio (eventualmente con pancetta e peperoncino) nella sugna o
nell’olio.
Successivamente va aggiunto il mallone tagliuzzato,
eventualmente, nel ricordo di San Paolino, il pane di segala e il sale. Con una
forchetta si gira e si rigira per far amalgamare bene.
Il mallone va consumato caldo, accompagnato da un corposo
bicchiere di vino rosso.
LE
ORIENTALI
L’insalatina Tatsoi appartiene
alla stessa famiglia botanica dei cavoli, le brassicacee. E’ originaria della
Cina e la sua coltivazione si è sviluppata in Giappone, la foglia assume la
forma a "cucchiaio" ed è di colore verde ed è leggermente lucida.
Questa piantina presenta un accrescimento eretto di un ciuffo di 4-5
foglie, di colore verde intenso, di forma ovale e molto carnose. Al gusto si
presenta fresca e il sapore è quello della senape. Viene impiegata sia per la
preparazione di insalate che per la preparazione di zuppe.
L’insalatina Mizuna è di origine orientale caratterizzata da una foglia dai margini frastagliati. Questa pianta è della famiglia della senape, e può essere utilizzata cruda in fresche insalate mixate con altre insalatine o cotta in zuppe o mescolata con patatine fritte.
L’insalatina Mizuna è di origine orientale caratterizzata da una foglia dai margini frastagliati. Questa pianta è della famiglia della senape, e può essere utilizzata cruda in fresche insalate mixate con altre insalatine o cotta in zuppe o mescolata con patatine fritte.
La Red Giant è una piantina dal portamento eretto e presenta foglie 4-5 foglie bollose di forma ovaidale. Il colore è rosso violaceo sull’esterno delle foglie ed il gusto, particolarmente aromatico, ben si presta per dare sapore alle misticanze.
Poco lontano
dall’azienda Gaia c’è la sede staccata dell’IPSEOA dell’ISISS G. Ronca di
Solofra.
L’IPSEOA
riserva particolare attenzione alle
tecniche di promozione, vendita, commercializzazione, assistenza, informazione
e intermediazione turistico-alberghiera che valorizzino le risorse
ambientali, storico-artistiche, culturali e enogastronomiche del territorio
anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione.
Sono a tutti note le recenti vicende
connesse al complesso virginiano di Borgo. Si è in cerca di una destinazione.
Si potrebbe pensare ad aprire un ristorante didattico, luogo di sperimentazione
delle misticanze e dei malloni, tradizionali e del terzo millennio?
In Italia i primi ristoranti
didattici sono apparsi una ventina di anni fa.
La prima pioneristica esperienza è partita nel 1992 nel Cuneese,
all'Istituto Velso Mucci di Bra, capace di accogliere 70 ospiti per cena.
L'idea è di abituare i giovani studenti di istituti alberghieri e scuole di
ristorazione al confronto concreto con il lavoro sul campo. Dal 1992 il loro
numero è aumentato costantemente, così che si è costituita anche una rete che
mette insieme circa cinquanta di queste esperienze. Ad essa aderiscono una cinquantina di Scuole di
Ristorazione ed Istituti Alberghieri sparse in una decine di Regioni. E' un
mondo spesso sconosciuto che si muove dentro
ed accanto a queste strutture. La filiera delle Scuole di Ristorazione
rappresenta l'incubatore di un settore strategico per l'intera economia del
nostro Paese ed in essa sono coinvolti: decine di migliaia di studenti,
migliaia i docenti ed i professionisti coinvolti nei percorsi di
formazione, migliaia sono anche i Ristoranti del territorio coinvolti
nelle attività di stage e centinaia le aziende che portano i loro prodotti
agroalimentari per essere “lavorati” dai ragazzi delle Scuole. È un mondo
quello delle Scuole che, con i Ristoranti Didattici, apre i battenti al
pubblico e coniuga la formazione dei giovani con una offerta ristorativa vera e
propria. Le forme sono le più diverse come le cene di degustazione a tema con i
prodotti stagionali del territorio.
Lo scopo fondamentale dei Ristoranti Didattici è
certamente quello di far compiere agli allievi qualificate esperienze
formative in un ambiente che riproduce esattamente le condizioni del mondo del
lavoro: il rapporto con il cliente, una qualità del servizio rapportata al
prezzo dello stesso, il rispetto dei tempi del servizio adeguati alle esigenze
dell'ospite, l'attuazione di norme igienico-sanitarie richieste dalle normative
dei locali pubblici.
Ma oltre agli obiettivi formativi si pensi
all'importanza strategica di educare le nuove generazioni di addetti
all’enogastronomia all'utilizzo dei prodotti agroalimentari tipici del
nostro territorio: è un movimento di lungo respiro ma di fondamentale
importanza per il consolidamento di un primato di qualità che l'Italia si sta
conquistando nel mondo. Un movimento che ha ricadute sul turismo, sulla
produzione agricola e quella industriale, oltre che, naturalmente, sulla
filiera degli Alberghi, Ristoranti, Agriturismi, Pizzerie.
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